di Gennaro Russo
Basterebbe da sola questa frase di Michael Jordan, considerato il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi, per spiegare il significato di zona di sconfort:
“Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Qual è il messaggio che ci arriva dalle parole di questo leggendario campione?
Se vogliamo alzare l’asticella dei nostri risultati, dobbiamo necessariamente fare cose che non abbiamo mai fatto, cioè spingerci oltre i nostri abituali comportamenti e sopportare il disagio che ne consegue, cioè entrare nella cosiddetta zona di sconfort.
Nel tennis, ad esempio, vogliamo potenziare il nostro gioco a rete? Per raggiungere il traguardo prefissato, dobbiamo allora essere pronti ad accettare:
– gli errori che, inevitabilmente, fanno parte di questo processo;
– lo stato d’animo (ad es. rabbia, scoramento, etc.) di certi momenti, prima di volerlo eventualmente modificare;
– il tempo necessario per raggiungere il livello di gioco desiderato.
Se, invece, rimaniamo sempre lì, nel nostro “orticello”, ove ci sentiamo sicuri ed a nostro agio (anche se in realtà, più che di agio, si tratta di adagio), a fare le cose che abbiamo sempre fatto, che ci risultano familiari, senza assumerci la responsabilità di “andare oltre”, il nostro processo di crescita personale e sportivo (e lo stesso vale in altri ambiti) rischia di arrestarsi o comunque di subire una brusca frenata. Questa è la zona di confort.
Per uscire da essa, dobbiamo trovare la motivazione, la forza ed il coraggio di trasformare in meglio qualsiasi situazione che ci fa sentire insoddisfatti. E’ necessario che troviamo l’entusiasmo di affrontare il nuovo, quindi, l’incertezza, l’ignoto, l’imprevisto e tutto ciò che ne consegue.
Entrare nella zona di sconfort significa cominciare una nuova sfida con noi stessi, con i nostri attuali limiti e con le situazioni da risolvere. Questo, se da un lato provoca quello che, in gergo, definiamo “stress”, che si manifesta generalmente tramite segnali quali “fatica”, “pressione”, “dolore”, “rabbia”, “ansia”, “disagio”, etc., dall’altro rappresenta “il prezzo da pagare” per raggiungere il nuovo e più alto obiettivo.
La notizia da tenere bene a mente è questa: la zona di sconfort è la dimora dei campioni. E’ lì che sono diventati quello che sono, è lì che hanno trovato la spinta per oltrepassare costantemente i propri limiti, spingendosi sempre più in alto. E’ lì che hanno costruito i loro risultati, le loro carriere, i propri destini… e soprattutto la loro identità.
Per rendere più chiaro il concetto, facciamo questa metafora:
l’isola 1 è la zona di confort;
l’isola 2 è l’obiettivo da raggiungere;
il ponte da costruire, che separa le due isole, è la zona di sconfort.
In pratica, il ponte (zona di sconfort o di disagio) è quello che permette di passare dall’isola (zona) di adagio a quella di agio.
Per costruire il ponte, occorrono tante cose: uomini, mezzi, macchine, tempo, dedizione, lavoro, etc. (ossia, pianificare, crederci, darsi da fare, superare gli ostacoli, perseverare, saper attendere, etc.).
Più si lavora e più si realizza la struttura che permette il passaggio da un’isola all’altra, questo significa metaforicamente che, con il trascorrere del tempo, il disagio tende a trasformarsi sempre più in agio, cioè fino al punto da poter portare la persona al raggiungimento dell’obiettivo.
Per quanto riguarda l’aspetto umano, c’è una importante considerazione da fare: nel viaggio per raggiungere la meta, attraversando la zona di sconfort, cresce la stima verso se stessi (l’autostima). Questo significa che lo sforzo profuso non solo ha fatto alzare l’asticella del risultato, ma, allo stesso tempo, ha portato comunque benefici alla persona e posto le basi per suoi più ambiti traguardi.
In altre parole, il prezzo da pagare (il “dis-agio”), oltre a permetterci di arrivare all’obiettivo, ci fa diventare persone con più fiducia in noi stessi e questa rappresenta il carburante per le successive azioni e risultati da conseguire.
A questo punto, si evince qual è il “segreto”, se così si può dire, dei campioni: “essi imparano a sentirsi a loro agio nella zona di disagio”, cioè in quest’ultima provano … ebbrezza, adrenalina, soddisfazione, gioia … ed è qui che trovano un senso per tutti i loro sacrifici. Poiché per i campioni la “zona di sconfort” non è solo una leva per alzare trofei, scalare classifiche o incrementare i guadagni, ma, un anche un modo di “esprimersi”, di “essere”, per affrontare sempre nuove, stimolanti ed avvincenti sfide che li rendono più vivi e felici che mai (pensiamo ad esempio a Federer in questi ultimi anni di carriera … che ha sfidato le leggi della longevità tennistica … lassù in cima al mondo).
Come possiamo mettere in campo tutta la nostra energia vitale, nel momento in cui non abbiamo alcuna sfida da vincere, cioè senza una zona di sconfort da attraversare?
Ed allora, visto che ogni essere umano è “il campione della propria vita”, buona sfida a tutti, o che è lo stesso … buon AllenaMENTE.
Gennaro Russo (2/continua)
Nella foto la copertina del libro di successo di Gennaro Russo, AllenaMENTE da campioni (con Marco Marchese), edito da Booksprint.